Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  giovedì 23 giugno 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Quando pure gli esponenti dell'ANM si comportano come dei Capezzone qualsiasi

di Alessandro Gerardi

Ai magistrati - si sa - la riforma dell'ordinamento giudiziario in via di approvazione definitiva al Senato non piace neanche un po'; a loro giudizio sarebbe incostituzionale, non solo perché calpesterebbe la loro autonomia ed indipendenza, ma anche perché non prenderebbe in considerazione i rilievi fatti da Ciampi nel momento in cui decise di rinviarla alle Camere senza promulgarla. A tale proposito, nella conferenza stampa di mercoledì 22 giugno, i massimi esponenti dell'Associazione Nazionale Magistrati, nel preannunciare una grande manifestazione di protesta per sabato 25 giugno, hanno dichiarato: "se anche la riforma diventerà legge la battaglia continuerà sui decreti delegati, cioè sui provvedimenti attuativi; se qualcuno pensa che con il tour de force di luglio si chiude la partita, si sbaglia; lo scontro si sposterà sui decreti delegati".


Battaglia, scontro: è inutile rammentare quanto un frasario di questo tipo - prima ancora che censurabile sul piano disciplinare - sia inopportuno e, quindi, riprovevole, sul piano generale dell'immagine e della credibilità della magistratura stessa, eppure di fronte a prese di posizione di questo tipo quasi nessuno sembra più disposto ad indignarsi e a reagire; anzi, sempre più spesso con l'andar del tempo assistiamo colpevolmente silenti ed indifferenti allo spettacolo di magistrati che pretendono di manifestare o, addirittura, di ostentare la propria ideologia politica, o di appoggiare, soprattutto in occasione di elezioni politiche o amministrative, questo o quello schieramento, se del caso anche con la presenza continua a manifestazioni pubbliche organizzate da qualche partito, ovvero con articoli giornalistici in quotidiani fortemente orientati politicamente o addirittura svolgenti la funzione di organi di partiti politici.


Certo, esiste la libertà individuale di opinione riconosciuta e garantita a livello costituzionale, ma anche il dovere di imparzialità (in senso lato) e di credibilità del magistrato sono principi di rango costituzionale che corrispondono non già ad altrettante prerogative a tutela di una casta, bensì a valori che sono costituzionalmente protetti a garanzia dei soli cittadini. E sono proprio questi principi di imparzialità e di indipendenza, in quanto previsti a salvaguardia del fondamentale valore della credibilità della funzione giudiziaria, i principali limiti all'esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero del magistrato, sì che all'essere (e al dover essere) imparziale e indipendente egli deve di necessità connettere la percepibile esteriore immagine dell'imparzialità e dell'indipendenza.


Non mi pare dunque possa essere condivisa l'opinione di quella parte (peraltro consistente) di magistrati che rivendica l'incondizionata libertà di manifestare a tutto campo le proprie opinioni ed il proprio pensiero. Quante volte infatti abbiamo letto sui quotidiani o ascoltato in TV il procuratore Tizio o il giudice Caio sostenere che siccome la libertà di opinione è garantita a tutti i cittadini non può nel contempo essere negata al singolo procuratore e che comunque l'evidenziazione delle proprie idee da parte del singolo magistrato sarebbe non solo inevitabile ma perfino utile, posto che, diversamente, "il concetto di imparzialità assurgerebbe a ruolo di un'astratta categoria dello spirito e si tradurrebbe in concreto in una distaccata indifferenza per idee e valori" (sic!).

"La vera imparzialità del giudice non si misura sul qualunquismo culturale del magistrato e sulla sua estraneità dalla società" - obiettano - "bensì su un suo reale e tangibile distacco dagli interessi in conflitto".


Nutro molti dubbi sulla correttezza metodologica di una siffatta impostazione (ancorché - ripeto - assai diffusa tra molti magistrati) per l'evidente ragione che l'apparenza di imparzialità è importante quanto la sua effettiva sussistenza. D'altro canto, non è mica casuale che tali concetti trovino significativo e puntuale sostegno proprio nello stesso "codice etico" adottato dai magistrati ordinari nel 1994, laddove più disposizioni precettive fanno riferimento proprio ai canoni dell'imparzialità e della terzietà anche esteriori che debbono sorreggere la condotta di ciascun magistrato (articolo 8: "il magistrato mantiene un'immagine di imparzialità e di indipendenza"; articolo 9: "il magistrato assicura che nell'esercizio delle funzioni la sua immagine di imparzialità sia sempre pienamente garantita").


Se dunque preoccupa ed allarma il presidente della CEI che sempre più si comporta come un Capezzone qualsiasi, che dire di una magistratura associata che intervenendo a gamba tesa nel dibattito politico si spinge fino al punto di preannunciare "battaglia" e/o "scontro" contro una legge legittimamente approvata dal Parlamento? Possibile mai che a lanciare l'allarme a fronte di dichiarazioni così gravi sia rimasto solo uno sparuto gruppetto di avvocati delle Camere Penali?